Real Madrid Al Hilal: le tre cose che non hai notato della partita
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Real Madrid Al Hilal: le tre cose che non hai notato della partita

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Kalidou Koulibaly

Ecco le tre curiosità sulla sfida delle ore 21:00, Real Madrid Al Hilal: match valido per il ritorno la prima giornata del Mondiale per Club

In una serata che sulla carta aveva il sapore di una formalità, con un pronostico apparentemente chiuso in partenza, Real Madrid e Al Hilal scrivono una sceneggiatura imprevista, fatta di orgoglio, cadute e colpi di scena. Lungi dall’essere una comparsa intimorita dal blasone regale dei Blancos, la squadra saudita scende in campo con una sfrontatezza tecnica e un coraggio che ribaltano subito l’inerzia, mettendo a nudo l’approccio quasi sonnolento degli avversari. Per mezz’ora, è l’Al Hilal a dettare legge, costringendo il Real a inseguire. Basta però un lampo, una ripartenza letale da manuale del grande calcio, per ricordare al mondo chi sono i campioni. Ma a un colpo da biliardo risponde la tenacia di chi non si arrende, con un pareggio che rimette tutto in equilibrio fino a un epilogo thrilling, dove un rigore parato al novantesimo diventa il sigillo su una partita in cui la presunta superiorità è stata sfidata, messa in discussione e, infine, fermata. Ecco tre episodi da ricordare per il loro significato in un 1-1 più che gusto

1. La sovversione della gerarchia

C’è un momento, al minuto 24, che è la fotografia perfetta di un ordine che si ribalta. Non è solo un’azione da gol sfiorata, ma una vera e propria dichiarazione di lesa maestà. Koulibaly, un difensore, si lancia in un break impetuoso che non è anarchia, ma l’affermazione di una volontà superiore. Scarica su Salem e in quell’istante il Real Madrid, la squadra che per definizione governa il campo, è costretta a inseguire, a rincorrere, a recuperare in affanno, con Tchouaméni che ci mette una pezza disperata. L’inerzia della gara, come sottolineato, non è solo una questione di possesso palla; è un fatto psicologico. L’Al Hilal non sta giocando contro il Real, sta giocando al posto del Real, con accelerazioni e una buona espressione tecnica che umiliano il blasone avversario, costringendolo a un ruolo subalterno, a guardare gli altri dettare il ritmo.

2. Lo sguardo del Re, il fiato dell’erede

La regia televisiva, a volte, ha delle intuizioni narrative geniali. Inquadrare Luka Modric, preoccupato in panchina, è come mettere in scena un dramma silenzioso. Il Re osserva il suo regno vacillare e dal suo sguardo trapela una consapevolezza amara: l’aura, da sola, non gioca. Il suo carisma non può trasfondersi per osmosi nei compagni. Poi, quasi a creare un contrappunto crudele, l’analisi si sposta su Bellingham. L’erede designato, il dominatore del futuro, è descritto in una condizione quasi umana, troppo umana: si abbassa sulle gambe ed è boccheggiante. L’ossigeno che gli manca non è solo fisico, è l’aria rarefatta delle idee, della connessione con il gioco. Mentre Modric rappresenta un’intera enciclopedia del controllo, Bellingham, che si fa soffiare il pallone in un attimo, è l’immagine di un motore potentissimo che, in questa precisa serata, ha finito il carburante per pensare.

3. Quando la maglia non basta

Se il Real Madrid pensava che sarebbe bastata l’aurea dei suoi big in campo, finora non è bastato. Questa è la morale della favola. La “regalità” nel calcio non è un titolo nobiliare ereditario, ma una condizione da riconquistare ogni singola partita. L’inquadratura nostalgica dei tifosi con la maglia di Modric è un omaggio a una grandezza passata che stride con l’anonimato del presente in campo. E la standing ovation per il suo ingresso è un gesto bellissimo, quasi un appello disperato al campione affinché riporti un po’ di quella magia che nessuno riusciva a trovare. È l’ammissione collettiva che la squadra, fino a quel momento, era stata un corpo senza spirito, una collezione di nomi illustri incapace di imporre la propria legge, perché di fronte aveva chi, stavolta, aveva più fame, più idee e più coraggio.

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